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nell'immagine d’una morte eroica come quella in- contrata, al ponte dell’Ammiraglio, dal giovane colonnello Tukòry. Ne descriveva, in quei giorni di Pisa, i funerali nel suo poema l’Arrigo, coi versi seguenti, la cui mestizia è pari a quella della sua voce concitata, sommessa, con la quale me li di- ceva pallido e a fronte alta, in una delle nostre pas- seggiate vespertine per la pineta di San Rossore:

+ + + . si diffondea per l’aure Un armonia di bellici istrumenti Pietosa, e a quella, con alterna vece, Sposato un metro di funerei canti. Eminente venia per l’ampia folla Portato un negro feretro, sul manto Funerale brillavano conserte A mo’ di croce due superbe lame, L’avanzava coverto di gramaglia Un generoso corridor, dimesso La testa e la foltissima criniera, Quasi conscio dell’ultimo viaggio Di chi in battaglia gli premeva i lombi. Eran le esequie tue, giovane e fiera Alma magiara . . rela di «RATE RD clogai gaudio, Diogni trionfo, d ogni trono in terra Meglio quel mesto feretro e quei pianti!»

Egli aveva seguito questi funerali del Tukòry nel giugno 1860, coi superstiti dei Mille per le vie di Palermo, già battute dalla mitraglia e accalcate di popolo, nè allora s'immaginava che onori funebri non meno solenni sarebbero stati resi alla sua salma, tanti anni più tardi, per le strade di Brescia,

in mezzo al compianto d’Italia. Cal