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sh incarnato per la redenzione d’Italia, e di tutti i po- poli. Andava a visitarlo a Caprera, andava a Gavi- nana (1) a inchinarsi alla memoria di Francesco Ferruccio; ma la facile enfasi patriottica non s’u- diva mai sul suo labbro; era studioso, malinco- nico e mite. Parlava con sobria pacatezza anche agli studenti di opinioni opposte alle sue, sempre mosso da un suo sentimento patrio commisto al- l’amore umano. Poichè egli desiderava che dopo la rivoluzione italiana, un sincero spirito di giu- stizia elevasse tutta l’umanità a beneficio dei più poveri e dei più sofferenti. E per amore dei servi abbozzò allora lo Spartaco, tragedia che poi non fini, e me ne scriveva più tardi: « Lo Spartaco temo di portarlo meco a ruggire nel mio petto sino alla morte ». Questi ruggiti ei gli conteneva nel cuore; e se gli apparivano nella parola spesso penosa, non erano mai le solite vane declama- zioni. In fondo a quell’agitazione di anime libere ed esaltate, era del dolore, era l’ira impaziente di metter fine alla prepotenza straniera e macchiata del più puro sangue d’Italia, era il generoso desi- derio di stabilire la società civile su basi più giuste. L’Abba si aspettava grandi cose dall’avvenire tut- t’altro che roseo, ma più equo. « Il nostro secolo (egli mi scriveva da Cairo Montenotte) finirà con la lotta degli operai contro la borghesia; il venturo comincierà coi soprusi degli operai, e finirà con la
(1) V. lo scritto « A Gavinana » nel volume Cose gari- baldine. S.T.E.N., 1907. - 2% edizione 1912.