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voni, i moderati monarchici che volevano si an- dasse a Roma e a Venezia più cautamente, con equilibrio più dinamico e ponderato. Moderatissimi erano i professori universitari, e perciò non troppo ossequiati da quei garibaldini, che pure dovevano avere da coloro il dottorato o l’avvocatura. Pas- sava per un gran malvone anche Silvestro Cento- fanti, il rettore, ottimo uomo, autore d’un bellis- simo discorso sulla letteratura greca, e nel 48, di carmi patriottici; decano dell’Ateneo, amico di Gino Capponi e del Niccolini. Un giorno, lì sulla porta dell’Università, uno di quei giovinotti, studente

di legge, passa, e non lo degna. — Perchè non saluta? — gli domanda il rettore. — E chi è lei? — gli risponde l’altro — io l’aveva preso per un

caporale profosso !

Una tale biasimevole irriverenza non fu forse che una vanteria di quel giovinotto, e con essa egli certo non intese d’offendere il venerando uomo, ma soltanto il malvone, e l’autorità costituita, cioè, secondo lui, un nemico d’Italia e della repubblica. E basti questo piccolo aneddoto a ritrarre l’umore dei tempi. Del resto i più di quei giovani non erano turbolenti, ma seri; alcuni taciturni e medi- tabondi. Facevano vita a sè, e raccolti in pochi, con l’Abba, parevano i tredici di Barletta. Non c'era giorno che colà nell’osteria di Mastromei, dove si raccoglievano a mensa, non parlassero caldamente del Generale.

L’Abba ammirava il Generale come un eroe che

fosse uscito dalla fantasia di Byron, e si fosse »