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Un suo canto in morte di Francesco Nullo, fu occasione della nostra conoscenza a Pisa, nel no- vembre 1864.

Quel vecchio canto, che oggi si ristampa dalla Società Editrice Nazionale nella seconda edizione dei « Vecchi versi » dell’Abba, potrà forse oggi parer prolisso e antiquato: a me piace sempre. Io vi ritrovo le aure di quei giorni, il fuoco sacro che condusse allora la più balda gioventù d’Italia da Calatafimi a Mentana. Contenerlo, in quegli anni di vive ma ancora incerte speranze, era una delle cure più difficili dello Stato. Anche quei pochi garibaldini stanziati a Pisa (tra cui l’Abba era il più notevole) tenevano sempre all’erta la polizia. A quei giovani, mentre Venezia e Roma attendevano, pa- reva ogni tregua colpevole e vile. Essi mettevano Re Vittorio, Cavour, Napoleone e tutti i generali piemontesi, sotto il piede di Garibaldi, ferito a Aspromonte, e che mandava a quando a quando da Caprera la sua gran voce. Quella voce per loro era più potente degli eserciti d'Austria e Francia, che contendevano ancora all’Italia le sue due grandi regine. Il loro affetto di patria prendeva impeto temerario dallo spirito di quello che era detto partito d’azione, o dei frementi: così si dicevano per ischerno, e i frementi, di rimando, appellavan mal-