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dell’indipendenza, poi le cure della famiglia cre- scente, gli obblighi della scuola secondaria gover- nativa, lo avvolsero in maniera da impedire al poeta e all’artista la grandezza di cui eran capaci. E anche in questo sacrifizio del proprio ingegno, anche in quello che gli apportò di logoramento e di pena, pazientemente sofferta, fu eroe. Vero eroe, tutto in sè, non capitan Fracassa, non d’Artagnan, e neanche il rozzo Fanfulla da Lodi, ma confor- mato, com’egli era, alla gentilezza del sentimento romantico e cristiano, il D’Azeglio, se mai, avrebbe riconosciuto in lui il modello vivente del suo Ettore Fieramosca. Del resto riscontrasi in tutti i tempi quasi una somiglianza di famiglia fra certi tipi, e anche l’antichità classica ne lasciò un esempio scul- torio nell’ Achille di Omero. Spogliando il Pelide della forza sterminatrice del mito, l’uomo che piange e s’adira sì passionatamente per l’ingiustizia patita e per la morte di Patroclo, è fratello a ognuno che sorti da natura generosità straordinaria d’affetti. Se non che una simile generosità aveva nell’ Abba carattere singolare dalla bontà del suo cuore lirico, impulsivo, ma sottoposto al freno della coscienza. Pareva, parlando e operando, temer sempre d’of- fendere quella che credeva la parte immortale e divina di sè: il suo intimo io.

Tale essendo, egli potè scolpire se stesso nel proprio stile dopo essere stato parte, egli pure, di quella grande coscienza che accolse, in un'idea e in una prova titanica i più eletti cuori d’Italia, e

ne rifece le sorti. [ai