Questa pagina è ancora da trascrivere o è incompleta. |
— 13r=
avuto un bello sperare qualche grazia: ma la Ma- donna addolorata, che dalla sua nicchia guardava in su, con negli occhi tutto lo spasimo delle sette lance che aveva in petto, non si curava di lui: san Luigi, protettore degli adolescenti, se ne stava in- differente là nella sua cappella: l’Angelo che guidò il fanciullo Tobia e lo salvò dai mostri non aveva cuore: solo santa Teresa, di Gesù, ardente d’amore in quel quadro là sotto quell’arcata, sembrava fissa a guardar lui, ma era una Santa fatta dipingere dai Ruzzanti, famiglia nemica alla sua, e Foresto ne aveva quasi soggezione.
Vagabondava così col pensiero e col sentimento, ma insomma non gli sorgeva dal core neppur una voce che gli dicesse d’aspettare ancora, che forse don Giosafatte gli avrebbe cambiato la penitenza. Ed erano già passati tre giorni dacchè si era confessato! Alla fine delle fini la più spiccia era farsi animo, ingi- nocchiarsi, patire, levarsi quel peso dalla coscienza.
Allora il giovinetto si levò dalla panca, diede ancora un’occhiata intorno, andò in mezzo alla navata, s'inginocchiò, si chinò con la faccia quasi sul pavimento, fece una prima croce con la lingua su quelle lastre, e dopo quella una seconda, una terza, e via dell’altre, strisciandosi sulle ginocchia in su, e provando tale compassione di sè stesso che se ne sentiva struggere il cuore. Ma nondimeno con- tinuando, una dopo l’altra delle croci ne aveva già fatte venti, quando si trovò li sotto gli occhi le occhiaie vuote d’un teschio, scolpito a bassissimo rilievo, nella lapide della tomba d’un antico parroco