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78 così parlò zarathustra — parte seconda


I miei amici si sono smarriti; è venuta l’ora di rintracciare i miei amici!».

Così dicendo Zarathustra sorse in piedi, ma non già come uomo angosciato, si invece come un veggente o un poeta che è colto dalla inspirazione. Maravigliati lo guardarono l’aquila e il serpente: poiché simile ad un’aurora la felicità si diffondeva sul suo volto.

«Che m’è successo, o miei animali? — disse Zarathustra — non sono io cangiato? Non m’ha forse invaso la gioja simile a un uragano?

Stolta è la mia felicità e parlerà da stolta; troppo giovane è ancora — usate pazienza con lei!

Mi sento ferito dalla mia felicità; tutti sofferenti devono essere i miei medici.

M’è concesso ridiscendere verso i miei amici, e pur verso i miei nemici! Zarathustra potrà parlar nuovamente, e donare ai suoi cari ciò ch’egli ha di più prezioso!

L’impazienza del mio amore trabocca come un torrente impetuoso, verso oriente e occidente. Dalla taciturna montagna fra le tempeste del dolore la mia anima si diffonde nelle valli. Troppo a lungo fui arso dal desiderio. Troppo a lungo guardai nella lontananza. Troppo a lungo fui soggetto alla solitudine, e perciò disimparai a tacere.

Son ridivenuto tutto bocca, simile allo scrosciar d’un ruscello che scende dalle alte rupi: io voglio che la mia eloquenza precipiti giù nelle valli.

E possa il torrente del mio amore dirompere in mezzo agli ostacoli! Come mai un fiume non saprebbe trovar la via del mare? C’è in me anche un lago, solitario, contento di sè stesso: ma il torrente del mio amore lo trascina in giù, — verso il mare!

Ora vado per nuovi sentieri: una novella eloquenza mi si rivela; divenni, al pari di tutti quelli che creano, sazio degli antichi linguaggi. Più non vuole il mio spirito camminar per sentieri battuti.

Troppo lenta mi sembra ogni parola. — Al tuo carro mi affido, o tempesta! E te pure voglio sferzare con la malizia!