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Il bambino allo specchio.
Dopo di ciò Zarathustra si recò un’altra volta su la montagna nella solitudine della sua caverna, straniandosi da ogni consorzio umano: e vigilò in attesa, simile al seminatore che ha sparsa la sua semente. Ma l’anima sua sentiva aere l’impazienza e il desiderio di coloro che amava: giacchè molte cose ancora doveva dar loro in dono. Chiudere la mano aperta quando si ama e conservar la vergogna quando si dona è la più difficile delle cose.
Così per il solitario trascorsero i mesi e gli anni; ed egli si fece più saggio, ma sofferse poi della stessa pienezza della sua sapienza.
Un mattino, tuttavia, egli si destò molto prima dell’aurora; stette a lungo sul suo giaciglio pensoso; poi così disse nel suo cuore:
«Che cosa m’ha tanto spaventato nel sogno da farmi destare? Non s’avanzò forse verso di me un bambino, che teneva in mano uno specchio?».
O Zarathustra — disse a me il bambino — guardati nello specchio!».
Ma quando guardai nello specchio, io mandai un grido, angosciato, giacchè non vi scossi me stesso, bensì le smorfie orribili e il sogghigno d’un demonio.
In verità, io so spiegare troppo bene la significazione e l’ammonimento del sogno: la mia dottrina è in pericolo; la mala erba vuol farsi credere frumento!
I miei nemici son divenuti potenti, ed hanno contraffatta l’imagine della mia dottrina, sicchè i miei discepoli prediletti devono vergognarsi dei miei doni.