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70 | così parlò zarathustra - parte prima |
era cara. Ma i suoi discepoli nel prender da lui congedo gli fecero dono di un bastone, la cui impugnatura d’oro raffigurava un serpente attorcigliato intorno al sole.
Zarathustra gradi molto il dono e s’appoggiò al bastone: poi così parlò ai suoi discepoli:
«Ditemi dunque: perchè l’oro salì in tanto valore? Perchè è raro ed inutile e risplendente e casto nel suo splendore.
Sol quale imagine della più sublime virtù l’oro crebbe in tanto pregio. Simile all’oro risplende l’occhio di chi dona. Lo splendor dell’oro celebra la pace tra il sole e la luna.
Rara e poco utile è la più sublime delle virtù; essa risplende, ma d’un casto splendore: una virtù che dona è la virtù più sublime.
In verità io vi leggo nell’anima, o miei discepoli: voi amate al pari di me la virtù dispensatrice di doni. Che cosa avreste voi di comune coi gatti e coi lupi?
La vostra sete è questa: diventar voi stessi olocausti e doni; da ciò deriva il vostro desiderio di adunar ricchezze nell’anima vostra.
La vostra anima cerca tesori e gioielli, perchè la vostra virtù è insaziabile nel voler donare.
Voi costringete tutte le cose a venir a voi ed in voi, affinchè dalla vostra sorgente esse scaturiscano quali doni del vostro amore.
In verità, un tale amore che dona deve diventare un ladro di tutti i valori: ma sano e santo io chiamo questo cupido egoismo.
Ma v’ha un altro egoismo, meschino, affamato, che vuole rubar sempre; l’egoismo degli ammalati, l’egoismo morboso.
Con l’occhio del ladro esso guarda tutto ciò che splende; con l’avidità della fame esso considera chi lautamente pranza; e si aggira sempre intorno alla mensa del donatore.
Di morbosità è indizio una tale cupidigia: dà prova d’un corpo tisico la ladra bramosia di questo egoismo.
Ditemi, fratelli miei, che cosa significa per noi cattivo e pessimo? Non è forse, questa, degenerazione? — E noi sospettiamo la degenerazione dovunque manca l’anima che dona.
Il nostro cammino conduce in alto: dalla specie ci guida alla superspecie. Ma a noi fa orrore la massima che dice: «Tutto per me».