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del matrimonio e dei figli 65

Sei tu il vittorioso, il sacrificator di te stesso, il dominatore dei sensi, il sire delle tue proprie virtù? Questo io ti domando.

O il tuo desiderio t’è suggerito dalla bestia che è in te, dal bisogno? O dalla solitudine? O dal malcontento di te stesso?

Io vorrei che la tua vittoria e la tua libertà provassero il desiderio d’un figlio. Tu devi innalzare edifici viventi alla tua vittoria e alla tua deliberazione.

Tu devi edificare sopra te stesso. Ma prima di tutto devi aver finito d’edificare te stesso, ed essere retto di corpo e d’anima.

Non devi soltanto propagarti, ma propagare oltre te stesso! A ciò ti giovi il giardino del matrimonio!

Tu devi creare un corpo più sublime, un primo impulso, una rota girante per forza propria — devi creare un essere destinato a creare.

Matrimonio: così io chiamo la volontà che anima due esseri a creare quell’uno che dev’essere superiore a coloro che lo crearono. Io chiamo matrimonio il reciproco rispetto dei volenti per una tale volontà.

Questo sia il significato e la vera essenza del tuo matrimonio. Ma ciò che fu detto matrimonio dagli imbelli, ahimè, come dovrei chiamarlo io?

Ah, la miseria di quelle anime appaiate! Ah, la lordura di quelle anime accoppiate! Ah, la miserabile contentezza in due!

Matrimonio dicono tutto ciò; e di più affermano che i matrimoni sono conclusi in cielo.

Ebbene, io non so che farmi di questo cielo degli imbelli! No, io non voglio saperne di cotali bruti presi alla rete celeste!

È lontano da me quel Dio, che s’avvicina zoppicando per benedire coloro ch’egli non ha congiunto!

Non ridete di questi matrimoni! Quale nato non avrebbe motivo di piangere sui proprii genitori?

Degno tal volta mi sembrò un uomo, e maturo pel senso della terra: ma appena vidi la sua donna la terra m’apparve simile a un asilo di mentecatti.

Sì, io vorrei che la terra s’agitasse convulsamente, ogni volta che un santo ed un’oca s’accoppiano.