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dell’albero sulla collina 39


Zarathustra sorrise e disse: «Molte anime non si potranno mai scoprire se prima non saran rivelate a sè stesse».

«Sì, nel male! — ripetè il giovane.

Tu dicesti la verità, o Zarathustra. Io non confido più neppur in me stesso dacchè aspiro ad elevarmi e nessuno ha più fiducia in me: come mai avviene ciò?

Io muto me stesso troppo presto: il mio Io oggi è in contraddizione con quello di ieri.

Io salto varii grandini alla volta nel salire, — e nessun gradino mi perdonerà ciò.

Quando ho raggiunto la sommità mi trovo sempre solo. Nessuno parla con me: il gelo della solitudine mi fa tremare. Che cosa cerco io lassù?

Il mio disprezzo e il mio desiderio crescono insieme; quanto più alto io salgo, tanto più spregio colui che sale. Che cosa va a cercare egli lassù?

Quanto mi vergogno di salire e d’incespicare! Come mi rido del mio ansioso anfanare! Come odio colui che vola! Come mi sento stanco sulle alture!».

Qui il giovane tacque. E Zarathustra contemplò l’albero, presso al quale se ne stavano; e parlò così:

«Quest’albero è solitario sul monte: egli crebbe molto alto sopra gli uomini e gli animali.

E se volesse parlare, nessuno lo comprenderebbe; tanto esso è eccelso.

E ora egli attende ed attende: — che cosa egli attende mai? Egli dimora troppo vicino al regno delle nubi: forse attende la prima folgore?».

Quando Zarathustra ebbe detto ciò, il giovane esclamò con voce violenta:

«Si, Zarathustra, tu dici il vero. Desiderai la mia distruzione, quando volli salire, e tu sei il fulmine che io attendeva!

«Vedi: che cosa sono io ormai, dopo che tu mi sei apparso? L’invidia di te m’ha distrutto!».

Così parlò il giovane; e pianse amaramente. Ma Zarathustra lo cinse del suo braccio e lo strasse seco.

E poi che ebbero camminato per un tratto, Zarathustra incominciò a parlare così: