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38 | così parlò zarathustra - parte prima |
Veder svolazzare coteste animelle leggere, svelte, graziose — ciò seduce Zarathustra al pianto ed al canto.
Io non potrei credere se non in un Dio che sapesse danzare.
Quando guardai il mio demonio, lo trovai serio, pesante, profondo, solenne: era lo spirito della gravità, — per cagion del quale cade ogni cosa.
Non con l’ira si uccide, bensì col riso. Orsù uccidiamo lo spirito della gravità.
Ho imparato a camminare: da allora in poi mi piace correre. Ho imparato a volare: da allora in poi non voglio più essere spinto, se mi piaccia di spiccarmi da un luogo.
Ora io sono leggero, ora volo; ora per me danza un Dio».
Così parlò Zarathustra.
Dell’albero sulla collina.
Zarathustra aveva scorto un giovane che cercava di schivarlo. E mentre una sera s’aggirava solitario sulle colline che circondavano la città la quale si chiama la Giovenca variopinta, trovò quel giovane seduto accosto ad un albero, che con occhio stanco guardava giù nella valle. Zarathustra, appoggiandosi all’albero alla cui ombra sedeva il giovane, parlò così:
«Se io volessi scuotere con le mie mani quest’albero non potrei.
Ma il vento, che noi non vediamo, lo muove e lo piega a suo piacere. Noi siamo scossi e piegati nel peggior dei modi da mani invisibili.
Allora il giovane s’alzò sgomentato e disse: «Io sento la voce di Zarathustra: ora per l’appunto pensavo a lui».
Zarathustra rispose: «E perchè ti sgomenti per questo? Succede dell’uomo quel che dell’albero.
Quanto più egli tende all’alto, alla luce, con tanto maggior forza le sue radici tendono verso la terra, in giù, nell’oscurità, nella profondità, nel male».
«Sì nel male!» esclamò il giovane. «Come è mai possibile che tu legga nella mia anima?».