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del leggere e scrivere 37


Una volta lo spirito era Dio, poi si fece uomo e finirà col diventar plebe.

Chi scrive col sangue e in aforismi vuole non soltanto esser letto, ma anche tenuto a memoria.

In montagna il sentiero più breve conduce di culmine in culmine: ma per seguirlo son necessarie buone gambe. Gli aforismi devono essere culmini: e quelli per cui sono scritti devono essere alti e forti.

L’aria rarefatta e pura, il pericolo vicino e lo spirito avvivato da una malizia gioconda: ecco alcune cose che stanno bene insieme.

Io sono coraggioso: voglio avere de’ folletti intorno a me. Li crea a sè stesso il coraggio, che discaccia i fantasmi: — il coraggio vuol ridere.

Io non sento nello stesso modo che voi: questa nube, che io miro ai miei piedi, questa cosa cupa e pesante, della quale io rido — è per voi la nube gravida di tempesta.

Voi guardate in alto quando sentite il bisogno di esaltarvi. Ed io guardo in giù, perchè sono esaltato.

Chi di voi sa ad un tempo sentirsi esaltato e ridere?

Chi è salito sui più alti monti, ride di tutte le tragedie del teatro e della vita.

Coraggiosi, incuranti, beffardi, violenti — tali ci comanda di esser la sapienza: la quale è donna e non ama che i guerrieri.

Voi mi dite: «la vita è difficile a sopportare». Ma allora a che cosa vi servirebbe al mattino il vostro orgoglio e alla sera la vostra rassegnazione?

La vita è difficile a sopportare: per carità, non pretendete d’essere tanto delicati! Noi tutti insieme siamo asini e asine destinati ad essere caricati.

Che cosa abbiam noi di comune col bottoncino della rosa, il quale trema per il peso di una goccia di rugiada?

È vero: noi amiamo la vita, non già perchè siamo assuefatti alla vita, bensì perchè siamo avvezzi ad amare.

C’è sempre una qualche parte di demenza nell’amore. Ma anche nella demenza c’è una parte di ragione.

Ed anche a me — che amo la vita, e le farfalle e le bolle di sapone e ciò che loro assomiglia tra gli uomini — sembra di conoscere meglio d’ogni altro la felicità.