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del pallido delinquente 35


«Nemico», dovete dire, non già «malfattore»; «ammalato», dovete dire, non già «furfante»; «demente», non già «peccatore».

E se tu, o rosso giudice, volessi ripetere ad alta voce tutto ciò che hai commesso nel tuo pensiero, chi non dovrebbe gridare: via questa immondizia e questo veleno?

Ma altra cosa è il pensiero, altra l’atto, ed altra ancora l’imagine dell’atto. La ruota della causa non si volge tra loro.

Un’imagine ha reso pallido quell’uomo. Egli era degno della sua azione allorchè la commise: ma, come l’ebbe compiuta, non seppe sopportarne l’imagine.

Rivide sempre sè stesso quale autore d’un fatto.

Io chiamo ciò demenza: l’eccezione fatta natura.

Una linea segnata col gesso paralizza la gallina: il colpo da lui eseguito paralizzò la sua povera ragione: io chiamo ciò la follia dopo il fatto.

Uditemi, o giudici! V’ha ancora un’altra follia: quella che precede l’azione. Ah voi non penetraste abbastanza a dentro in quell’anima!

Dice il rosso giudice: «Perchè questo delinquente ha ucciso? Egli voleva rubare». Ma io vi dico: «La sua anima era assetata di sangue, non di possesso: egli era assetato della ebrietà del colpire.

Ma la sua povera ragione non comprendeva una tale follia e lo persuase. «Che valore ha il sangue?» — gli disse — non vuoi almeno arricchirti di qualche cosa nello stesso tempo? O vendicarti?».

Ed egli ascoltò la sua povera ragione: le sue parole pesavano su lui come piombo — e allora rubò mentre uccideva.

Egli non voleva dover vergognarsi della sua follìa.

E ora pesa nuovamente su lui il piombo della sua colpa e un’altra volta la sua ragione è intorpidita, paralizzata, pesante.

Se egli potesse solamente scrollare il capo, il suo peso svanirebbe: ma chi può far scrollare quel capo?

Che cos’è quest’uomo? Una malattia che col mezzo dello spirito agisce sulle cose esteriori in cerca d’una preda.

Che cos’è quest’uomo? Un gruppo di serpenti irrequieti e feroci, ciascuno dei quali cerca per una propria via la preda.