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il canto della melanconia |
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poi che affranto ed arso eri,
quando l’occidua lucè fuggitiva
sovra i gialli sentieri
scherzava, di tra i rami dei cupi alberi,
fatta d’oro e di fiamma, in torno a te?
Vuoi tu sposar la verità? — malvagia
dicea la luce, e ti schernìa così —
Tu non sei che un poeta, una randagia
avida astuta fiera, in odio al dì.
Preda a te stesso, muti ad ora ad ora
fogge ed abiti e modi. La tua veste
de le tinte più varie si colora.
Appari nelle feste
come un pagliaccio; veli
il tuo volto di maschere mutevoli:
sei un folle poeta: sotto cieli
falsi cammini, su ponti ingannevoli
di parole cavalchi,
e arcobaleni di menzogne calchi.
E vuoi sposar la Verità? pur tu
freddo e inerte non sei come l’imagine
taciturna del nume innanzi al tempio;
ma, d’ogni ardita indagine
amante in vece sprezzi la virtù;
e ti piace esser empio.
A Dio ribelle
schivi le chiese, vago de le selve.
Agile al balzo, ami inseguir le belve
da la gajetta pelle.
Com’esse screziato,
tu crudele e gioivo predatore,
bello come il peccato,
cerchi sangue ed amore.