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il canto della melanconia 285

poi che affranto ed arso eri,
     quando l’occidua lucè fuggitiva
     sovra i gialli sentieri
     scherzava, di tra i rami dei cupi alberi,
     fatta d’oro e di fiamma, in torno a te?

Vuoi tu sposar la verità? — malvagia
     dicea la luce, e ti schernìa così —
     Tu non sei che un poeta, una randagia
     avida astuta fiera, in odio al dì.
     Preda a te stesso, muti ad ora ad ora
     fogge ed abiti e modi. La tua veste
     de le tinte più varie si colora.
     Appari nelle feste
     come un pagliaccio; veli
     il tuo volto di maschere mutevoli:
     sei un folle poeta: sotto cieli
     falsi cammini, su ponti ingannevoli
     di parole cavalchi,
     e arcobaleni di menzogne calchi.

E vuoi sposar la Verità? pur tu
     freddo e inerte non sei come l’imagine
     taciturna del nume innanzi al tempio;
     ma, d’ogni ardita indagine
     amante in vece sprezzi la virtù;
     e ti piace esser empio.
     A Dio ribelle
     schivi le chiese, vago de le selve.
     Agile al balzo, ami inseguir le belve
     da la gajetta pelle.
     Com’esse screziato,
     tu crudele e gioivo predatore,
     bello come il peccato,
     cerchi sangue ed amore.