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di quelli che vivono fuori dal mondo | 29 |
Credetelo, fratelli miei! Fu il corpo, che disperava di sè, — e che con le dita d’uno spirito annebbiato— tastava brancolando le ultime pareti.
Credetemelo, miei fratelli! Fu il corpo, che disperava della terra, — e credeva udir parlare l’utero dell’Essere. E allora volle cacciar la testa oltre le ultime pareti, e non solo la testa — per arrivare a «quell’altro mondo».
Ma «quel mondo» è troppo ben celato agli uomini. Quel mondo inumano e disumano è un celeste nulla; e l’utero dell’Essere non parla affatto all’uomo, se al più non gli parli con voce di uomo.
In verità è molto difficile provare che l’Essere sia; più difficile farlo parlare. Ditemi, o miei fratelli, non è forse più facile dimostrar la più bizzarra delle cose?
Ahimè, questo Io con le sue contraddizioni e confusioni è il solo ancora che lealmente affermi il suo Essere: questo Io che crea, che vuole e che impone i valori, che è la misura e il valor delle cose.
E questo essere più onesto di tutti, l’Io — vi parla del corpo, e domanda il corpo, anche quando spazia nei campi della poesia e dell’imaginazione, e saltella qua e là con le ali spezzate.
E sempre più apprende a parlar schiettamente, l’Io: e quanto più apprende tanto più facilmente trova parole di lode ed onori per il corpo e la terra.
Un nuovo orgoglio m’insegnò il mio Io, ed io l’insegno agli uomini: non cacciate più la testa nella sabbia delle cose celesti, ma portatela liberamente: una testa terrestre che crea, essa, il senso della terra...
Una nuova volontà insegno agli uomini: seguir volontari questa via che l’uomo ha percorso fin qui ciecamente, e non cercar d’evitarla paurosamente, come fra gli ammalati e i morituri!
Ammalati e morituri furono coloro che spregiarono il corpo e la terra ed inventarono il cielo e le goccie di sangue redentrici: ma anche questi veleni dolci e tristi essi li tolsero dal corpo e dalla terra!
Vollero sfuggire alla miseria che li opprimeva, e le stelle parvero loro troppo lontane. Allora gemettero: Oh, se pure ci