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272 | così parlò zarathustra - parte quarta |
Ora comprendo ciò che egli un giorno ci insegnò: «Sia lodata la piccola povertà!». Per ciò egli vuole abolire i mendicanti».
«State allegri, come io sono», disse Zarathustra. «Non lasciare le tue usanze, o egregio: macina i tuoi grani, bevi la tua acqua, loda la tua cucina, purchè essa ti conservi il buon umore.
Io non fo legge che per i miei; io non sono una legge per tutti. Ma chi vuole essere de’ miei, deve aver l’ossatura robusta, e anche il piede leggero.
E allegro devi essere nella guerra e nei conviti: non già un accigliato, nè un sognatore ad occhi aperti, sì invece pronto alle difficoltà come ad una festa; valido e lieto.
La parte migliore appartiene a me ed ai miei; e, se non ci vien data, ce la prendiamo da noi: il miglior alimento, il cielo più puro, i pensieri più forti, le donne più belle!».
Così parlò Zarathustra; ma il re che era alla destra soggiunse:
«Strano! Avete mai udito tali parole uscir dalla bocca di un saggio?
E per vero, nulla è più strano che il trovar accortezza in un saggio».
Così parlò il re, e fece le meraviglie; ma alla sua parola l’asino malignamente fe’ eco col raglio. E così ebbe principio quella lunga cena, che nelle cronache è chiamata la «cena» per eccellenza; durante la quale non si parlò d’altro che dell’uomo superiore.
Dell’uomo superiore.
1.
Quando giunsi per la prima volta tra gli uomini, feci scioccamente ciò che soglion fare i solitari: m’appostai sul mercato.
E mentre io discorrevo con tutti, non parlavo particolarmente a nessuno. E la sera, m’eran compagni i funamboli e i cadaveri; e poco men d’un cadavere era io stesso.