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28 | così parlò zarathustra - parte prima |
Di quelli che vivono fuori del mondo.
«Io pure volli una volta gettar la mia illusione di là dall’uomo, al pari di tutti quelli che vivono fuori del mondo. Opera d’un Dio sofferente e crucciato m’appare allora il mondo.
Un sogno m’appare; la finzione d’un Dio: un fumo variopinto agli occhi d’un tedio divino.
Bene e male, gioia e dolore, io e tu, — tutto mi sembrò fumo dinanzi agli occhi d’un creatore. E quando il creatore volle guardar lontano da sé stesso — allora creò il mondo.
Inebbriante gioia è pel sofferente guardar lontano dai propri dolori e dimenticare sé stesso. E a me pure il mondo — questa imperfetta imagine di eterna contraddizione — si rilevò un giorno imagine di gioia e d’oblio.
E allora anch’io lanciai le mie illusioni oltre l’uomo, come tutti quelli che desiderano esser fuori del mondo.
Oltre l’uomo: davvero?
Oh, fratelli miei, quel Dio che io creai era folle opera d’un uomo, come sono tutti gli dèi!
Un uomo era egli, un pover uomo; e quell’uomo era io stesso: dalla mia propria cenere, dalla mia propria fiamma era sorto quel fantasma. Ei non mi giunse dal di là!
Che cosa avvenne, fratelli miei? Io superai me stesso, portai al monte le mie ceneri, inventai per me una fiamma più chiara! Ed ecco: il fantasma scomparve da me!
Sarebbe ora una pena e uno strazio pel convalescente il credere a tali fantasmi; sarebbe per me una pena ed un’umiliazione! Per ciò parlerò a quelli che vivono fuori del mondo.
La sofferenza e l’impotenza crearono tutte le cose di là dal mondo in quel breve e folle momento di felicità che solo prova colui che molto soffre.
La stanchezza, che d’un sol balzo — con un salto mortale — vorrebbe raggiungere il culmine, la povera stanchezza ignorante, che più non sa nemmeno volere: essa solo creò tutti gli dèi e il soprannaturale.