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250 | così parlò zarathustra - parte terza |
E se la colpa era dei nostri orecchi, perchè ci aveva egli dato sensi non atti a comprenderlo? Se c’era del limo nelle nostre orecchie, ebbene, chi l’aveva messo?
Molte cose fallirono a questo vasaio che non aveva finito di imparar la sua arte! Ma che egli si vendicasse contro i suoi vasi e le sue creature perchè erano riesciti a male sotto le sue dita — cotesto era un peccato contro il buon gusto.
Anche nella pietà v’ha un buon gusto; il quale disse finalmente: via con un simile dio! Meglio nessun dio: meglio che ciascuno si fabbrichi la sua sorte a suo rischio; meglio esser dèi per sè stessi!».
«Che devo sentire!», esclamò il vecchio papa, tendendo gli orecchi; «o Zarathustra, una tale empietà ti mostra più pio che non credi! Un dio deve averti convertito all’empietà.
Non è forse la tua stessa pietà quella che ti vieta di oltre credere in un dio? La tua grande onestà ti trarrà ancora di là dal bene e dal male?
Guarda, dunque, che cosa resta a te? Tu possiedi occhi e mani e bocca, e tutte queste cose sono destinate da eterno tempo a benedire; non si benedice soltanto con le mani.
Intorno a te, se bene tu vuoi essere il più empio degli empii, io odoro un segreto profumo d’incenso, una fragranza di lunghe benedizioni; mi sento bene a un tempo e a disagio.
«Amen! Così sia!» — disse Zarathustra, assai meravigliato — «lassù è la caverna di Zarathustra.
Ben volentieri, credi, vi ti condurrei io stesso, o venerabile, giacchè io amo tutti gli uomini pii Ma sento un grido che chiama al soccorso, e mi vuole lontano da te.
Nel mio dominio nessuno deve soffrire; la mia caverna è un buon porto. E più d’ogni altra cosa amerei ricondurre tutti gli afflitti su la terra ferma e piantarli saldi su le loro gambe.
Ma chi saprebbe toglierti dalle spalle la tua mestizia? Io non mi sento da tanto. Troppo a lungo, credi, dovremmo attendere, perchè qualcuno potesse risvegliare il tuo Dio.
Poichè quel vecchio Dio non vive più; egli è morto veramente».
Così parlò Zarathustra.