Tu che ti celi dietro i lampi e tendi
vigliaccamente agguati su la via
pubblica, che pretendi
da me, che vuoi da quest’anima mia?
Ch’io mi riscatti? Che domandi? «Puoi»
— dice il mio orgoglio — «assai chiedere. Parla
breve». Ma tu vuoi me, tutta tu vuoi
la mia fierezza, per dilanïarla.
Ecco: m’arrendo. Ch’io non chieda in vano
pietà! Dammi l’amore.
Porgimi tu la mano,
tu conforta il mio cuore.
Vedi, il più tristo io son de’ solitari:
in me spezzato ha il gelo
anche l’odio: perdòno agli avversari.
Deh, a me ti rendi, ignoto iddio, dal cielo.
Ma tu mi lasci, tu dilegui, atroce
nume, compagno mio
e mio nemico; sordo alla mia voce
tu fuggi, o tristo iddio.
Non mi lasciar, feroce nume. Senti:
con lagrime di fuoco
da te, prostrato, un’altra volta invoco
i crudeli tormenti.
Per te l’ultima fiamma del mio cuore
arde, spietato iddio.
Deh, a me ritorna, ultimo dolore,
estremo gaudio mio.