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il mago 243


Tu che ti celi dietro i lampi e tendi
     vigliaccamente agguati su la via
     pubblica, che pretendi
     da me, che vuoi da quest’anima mia?

Ch’io mi riscatti? Che domandi? «Puoi»
     — dice il mio orgoglio — «assai chiedere. Parla
     breve». Ma tu vuoi me, tutta tu vuoi
     la mia fierezza, per dilanïarla.

Ecco: m’arrendo. Ch’io non chieda in vano
     pietà! Dammi l’amore.
     Porgimi tu la mano,
     tu conforta il mio cuore.

Vedi, il più tristo io son de’ solitari:
     in me spezzato ha il gelo
     anche l’odio: perdòno agli avversari.
     Deh, a me ti rendi, ignoto iddio, dal cielo.

Ma tu mi lasci, tu dilegui, atroce
     nume, compagno mio
     e mio nemico; sordo alla mia voce
     tu fuggi, o tristo iddio.

Non mi lasciar, feroce nume. Senti:
     con lagrime di fuoco
     da te, prostrato, un’altra volta invoco
     i crudeli tormenti.

Per te l’ultima fiamma del mio cuore
     arde, spietato iddio.
     Deh, a me ritorna, ultimo dolore,
     estremo gaudio mio.