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la sanguisuga 239

sene. «Qui io sono in casa mia, e nei confini del mio dominio. M’interroghi pure chi voglia, ma difficilmente risponderò a un sciocco».

«T’inganni», disse Zarathustra pietoso, tenendolo fermo, «t’inganni: qui non sei in casa tua ma nel mio regno, ed in questo mio regno non voglio che a nessuno sia recato danno.

Ma chiamami come ti piace, — io sono quello che devo essere.

Io stesso mi chiamo Zarathustra.

Ebbene: il sentiero che tu vedi conduce alla caverna di Zarathustra: essa non è lontana — non vuoi tu sanare presso di me le tue ferite?

Le cose ti furono avverse in questa vita, o disgraziato: prima ti morse la fiera — poi ti calpestò l’uomo!».

Ma quando l’altro intese il nome di Zarathustra, parve mutarsi. — «Che cosa mi accade!», esclamò: «di chi m’importa ancora in questa vita se non d’un solo uomo — di Zarathustra? e d’un animale che vive di sangue, — della sanguisuga?

Per essa io giacevo disteso su l’orlo di questa palude, come un pescatore, e già il mio braccio, ch’io avanzava cercando, era stato morso dieci volte allorchè una sanguisuga più bella dell’altre, Zarathustra, volle gustare del mio sangue!.

O felicità! oh meraviglia! Sia lodato il giorno che mi sentii attratto verso questa palude! Sia lodata la miglior ventosa vivente, la grande sanguisuga della coscienza: Zarathustra».

Così parlò il calpestato; e piacquero a Zarathustra le sue parole, e il modo delicato e riverente con cui egli le pronunciava; e «Chi sei tu?», gli chiese, stendendogli la mano: «tra noi due molte cose conviene chiarire: ma già mi sembra che incominci a farsi giorno chiaro».

«Io sono il coscienzioso dello spirito», rispose l’interrogato, « e in ciò che ha attinenza allo spirito nessuno è più severo, più scrupoloso e più duro di me, salvo colui dal quale ciò appresi: Zarathustra medesimo.

Preferisco non saper nulla, anzichè saper molte cose incompiutamente! Meglio essere un pazzo per conto proprio che non un savio a modo degli altri. Io penetro nel fondo delle cose!