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238 così parlò zarathustra - parte quarta


La sanguisuga.

E Zarathustra procedette innanzi, ove più fitto era il bosco, accanto alle paludi; ma come a chi sta meditando su cose gravi succede spesso di distrarsi, così gli venne fatto, senza accorgersene, di porre il piede su un essere umano.

Ed ecco, d’un tratto sentì quasi sul volto un grido di aiuto, seguito da bestemmie e da imprecazioni: sì che, nel suo spavento, alzò il bastone e lo lasciò ricadere sull’uomo da lui calpestato. Ma presto si riebbe dal terrore e rise dalla sua sciocchezza.

«Perdona», disse a colui che aveva tenuto sotto i suoi piedi, e che ormai s’era rialzato e seduto; «perdona, ed ascolta anzitutto una parabola.

Simile a un viandante che cammini sognando di cose lontane, molto lontane, e su la via solitaria s’avvenga in un cane che dorme al sole; e l’uno e l’altro sobbalzano, s’affrontano, come fieri nemici, mentre sono colti entrambi da mortale spavento; così facciam conto sia stato di noi due.

Eppure! Eppure — quanto poco mancò che questi due s’accarezzassero, il cane e il viandante solitario! Non sono forse solitari entrambi?

— «Chiunque tu sii», disse, pieno tuttavia di rancore il calpestato, «tu mi offendi anche con la tua parabola, e non soltanto col piede!.

«Guardami dunque, sono io forse un cane?» — e così dicendo si levò in piedi e trasse fuori dal padule il suo braccio ignudo. Giacchè sino allora era rimasto disteso al suolo, nascosto e irriconoscibile, come coloro che spiano in agguato la selvaggina palustre.

«Ma che cosa stai facendo?», sciamò Zarathustra impaurito, vedendo che dal braccio gli scorreva in copia il sangue, «che t’è successo? Forse, disgraziato, t’ha morso qualche animale malvagio?».

Il sanguinante rise, se bene era ancor dominato dalla collera. — « Che importa ciò a te?», disse, facendo atto d’andar-