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il colloquio coi re | 237 |
Noi dobbiamo udirlo, lui che insegna «voi non dovete amare la pace che quale un mezzo a nuove guerre, e preferire una pace breve ad una lunga!».
Nessuno ha mai pronunciato parole così arditamente guerresche.
Che cosa è buono? Esser valorosi è cosa buona. La buona guerra santifica ogni causa.
O Zarathustra, il sangue dei nostri padri si rimescolò, a queste tue parole: era come un sermone della primavera rivolto a vecchie botti di vino.
Quando le spade s’intrecciavano simili a serpi screziate di rosso, i nostri padri amavano la vita; il sole della pace sembrava loro torpido e scialbo, e la lunga tregua li faceva vergognosi.
Quanto sospiravano i nostri padri, allorchè dalle pareti vedevano scintillare le spade lucenti, ma asciutte! Come esse, anelavano la guerra. Poi che la spada ha sete di sangue e sfavilla di desiderio.
— Mentre i re, così infervorati, discorrevano della felicità dei loro padri, Zarathustra provò vivo desiderio di beffarsi del loro ardore, giacchè quei re amavano oltre modo la pace, come appariva dai loro volti logori e scarni. Pure si trattenne: «Ebbene!», esclamò, «lassù conduce il cammino, lassù è la caverna di Zarathustra: questa giornata deve finire in una lunga veglia. Ma ora sento un grido che invoca soccorso e mi chiama lontano da voi.
Sarà un onore per la mia caverna l’ospitarvi; ma pur troppo voi dovrete attendere a lungo!
Ebbene! che importa? In qual altro luogo oggidì si apprende l’arte d’attendere meglio che alla corte dei re? E tutta la virtù ch’è ancor rimasta oggi ai re, non si compendia forse nel «saper aspettare?».
Così parlò Zarathustra.