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218 | così parlò zarathustra - parte terza |
2.
E allora così mi rispose la vita, turandosi le orecchie graziose:
O Zarathustra! Non far schioccare così terribilmente il tuo scudiscio! Tu lo sai bene: lo strepito ammazza i pensieri — e proprio adesso così teneri pensieri mi giungono!».
«Noi apparteniamo a coloro che non vogliono far nè il bene nè il male. Di là dal bene e dal male noi ritrovammo la nostra isola e il nostro verde prato — noi due soli! Dobbiamo dunque amarci!
E se anche non ci amiamo proprio di cuore — è perciò necessario che ci odiamo!
E che io ti voglia bene, e spesso anche troppo, tu lo sai pure; e n’è cagione l’esser io gelosa della tua saggezza. Ah, quella vecchia pazza!
Se la tua saggezza un giorno fuggisse lontano da te, anche il mio amore t’abbandonerebbe d’un tratto».
Poi la vita guardò pensosa dietro a sè e disse sotto voce: «Oh, Zarathustra, tu non mi sei a bastanza fedele!
Tu mi ami assai meno di quanto mostrano le tue parole; io so che tu pensi di abbandonarmi fra poco.
C’è una vecchia e pesante campana brontolona, il cui suono di notte giunge alla tua caverna:
— Quando a mezzanotte tu senti quella campana annunziar l’ora, tra la una e le dodici tu pensi a ciò.
— Tu pensi a ciò, Zarathustra, lo so, tu pensi di abbandonarmi tra poco!».
«Sì», risposi esitante, «ma tu sai anche — e io le dissi qualcosa all’orecchio, proprio fra le fulve anella intrecciate.
«Tu sai ciò, Zarathustra? Nessuno sa ciò».
E noi ci fissammo in volto; poi guardammo il verde prato, sul quale aleggiava appunto la frescura della sera e piangemmo insieme. — Ma in quel punto mi fu più cara la vita che non mai per l’innanzi la saggezza.
Così parlò Zarathustra.