Pagina:Così parlò Zarathustra (1915, Fratelli Bocca Editori).djvu/20


la prefazione 21


Ai solitari canterò la mia canzone, e a coloro che vivono nella solitudine in coppie; voglio esaltare con la mia felicità chi ancora ha orecchi per le cose inaudite.

Io tendo alla mia meta: vedo la mia strada; salterò oltre i dubitosi e i tardi. E così possa il mio cammino essere anche la mia distruzione».


10.

Questo aveva detto Zarathustra nel suo cuore; e poi che il sole era al meriggio, egli alzò gli occhi al cielo, scrutando: udiva l’acuto grido d’un uccello. Ed ecco: vide un’aquila distendere il volo per l’aria in larghi cerchi: da lei pendeva un serpente, non già simile a una preda, ma ad un amico: giacché le si avvolgeva intorno al collo.

«Ecco i miei animali» — disse Zarathustra: e ne provò una viva gioja.

«Il più superbo e il più astuto sotto il sole — son venuti alla mia volta.

Essi vogliono accertarsi che Zarathustra è ancor vivo. E in verità vivo io ancora?

Ho corso maggior pericolo tra gli uomini che tra i bruti. Le vie di Zarathustra sono pericolose. Ebbene, mi guidino i miei animali».

Poi ch’ebbe detto ciò, gli sovvennero le parole del santo del bosco; ed egli ne sospirò e così disse nel suo cuore:

«Potessi essere più accorto! Potessi esser accorto sin dal profondo, al pari del mio serpente!

Ma io domando l’impossibile: pregherò il mio orgoglio di accompagnarsi sempre alla mia saggezza!

E se un giorno la mia saggezza dovesse abbandonarmi! — purtroppo essa ama abbandonarmi assai spesso — possa allora il mio orgoglio volare in compagnia della mia follìa!».

Così ebbe principio la discesa di Zarathustra.