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186 così parlò zarathustra — parte terza


Ma tutto masticare e tutto digerire — è cosa propria del majale! Dire sempre I-O, — è proprio dell’asino e di coloro che gli somigliano.

Il giallo intenso e il rosso ardente, ecco ciò che vuole il mio gusto — il quale rimescola il sangue con tutti i colori. Ma chi scialba la sua casa mi rivela un’anima imbiancata.

Altri s’innamora di mummie, altri di fantasmi, ma entrambi sono avversi a tutto ciò ch’è carne e sangue — entrambi mi destano ribrezzo! Giacchè io amo il sangue.

E io non voglio dimorare dove tutti sputano e calunniano: meglio amo vivere, tra i ladri e gli spergiuri. Nessuno porta l’oro in bocca.

Ma più ancora ho in fastidio gli adulatori; e al più sozzo animale ch’io trovai io detti nome di parassita: egli non voleva amare, ma vivere dell’amore.

Io chiamo disgraziati tutti coloro che non sanno scegliere se non tra questi estremi: e diventare animali malvagi, o malvagi domatori. Vicino a loro io non edificherei la mia casa.

E disgraziati sono per me anche quelli che devono aspettare sempre: ho in uggia anche costoro: pubblicani e mercanti e re, o custodi di regni e di botteghe.

A dir il vero, anch’io imparai ad aspettare; ma soltanto ad aspettare per me stesso. E sopra ogni cosa imparai a stare, a camminare, a correre, a saltare, ad arrampicarmi.

Ma così suona la mia dottrina: Chi vuole apprendere a volare un giorno deve prima di tutto imparar a stare, a camminare, a correre, ad arrampicarsi: — non s’apprende in una sola volta l’arte del volo.

Con le scale di corda imparai a scalare più d’una finestra, con le gambe agili m’arrampicai su per gli alti alberi delle navi: sedere in alto su gli alberi della conoscenza mi parve una non spregevole gioja.

Tremolare come fiammella sugli alti alberi della nave: una luce meschina da vero, ma un grande conforto per i naviganti fuor di rotta e per i naufraghi!

Per molte vie e in molti modi io giunsi alla mia verità: non per una sola scala io ascesi all’altezza, dalla quale signoreggio con lo sguardo le distanze.