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180 | così parlò zarathustra — parte terza |
La voluttà, la sete del potere e l’egoismo: queste tre cose furono finora le più maledette, quelle che ebbero peggior fama e più di tutte furon calunniate: or queste tre cose io voglio pesarle umanamente bene.
Ed ecco! Qui è il mio promontorio e là il mare: esso viene a me lusinghiero, il fido e antico cane — mostro dalle cento teste, che io amo.
Ebbene! Io terrò qui in bilico la bilancia sopra il mare dai flutti frementi; ed anche un testimonio m’eleggo, perchè vigili l’opera mia, — te, o albero solitario, che io amo, col tuo profumo selvaggio, e coi tuoi vasti archi di rami!
Su quale ponte il Presente passa nell’Avvenire? Per quale forza ciò che è alto si congiunge a ciò che è basso? E che cosa impone a ciò che è alto di crescere ancor più alto?
Ora la bilancia è in bilico: tre ardue questioni io getto nell’uno: tre gravi risposte trovansi nell’altro piatto della bilancia.
II.
Voluttà: per tutti gli sprezzatori del corpo vestiti di cilicio essa è un pungolo e un supplizio: maledetta dal «mondo» per tutti coloro che vivono fuori del mondo: giacchè essa schernisce e a sè assoggetta tutti i predicatori d’inganni e di follie.
Voluttà: per la plebe il fuoco lento, su cui si consuma: pel legno tarlato, per i luridi cenci, la fornace sempre pronta in cui essi ardono e gorgogliano.
Voluttà: per i cuori liberi innocente e libera, il giardino beato della terra, l’esuberante gratitudine dell’avvenire per il presente. Voluttà: per il fiacco non altro che dolce veleno, ma per quelli che hanno la volontà del leone, vino gelosamente serbato — squisito vino onde il cuor si ristora.
Voluttà: «il grande tipico esempio di una felicità superiore e d’una suprema speranza»; poi che a molte cose son promesse le nozze, e più che le nozze; a molte cose più estranee l’una all’altra che non l’uomo alla donna: — e chi mai