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178 | così parlò zarathustra — parte terza |
Chi dimora tra i buoni, impara a mentire per pietà. La compassione rende l’aria afosa per tutte le anime libere. Poi che la stoltezza dei buoni è senza fondo.
Nasconder me stesso e la mia ricchezza — questo imparai laggiù: giacchè, trovai poveri di spirito tutti. Questa era la menzogna della mia compassione, chè io sapeva la verità sul conto d’ognuno — e con l’occhio e con l’odorato io distingueva ciò che per ciascuno era spirito sufficiente da ciò ch’era spirito soverchio!
I loro rigidi saggi, io li chiamai sapienti ma non già rigidi — così imparai a inghiottir le parole. I loro becchini, io li chiamai investigatori e sperimentatori — così imparai a scambiare le parole. Ai becchini procaccia malattie lo scavar le fosse. Sotto le antiche macerie s’accumulano i miasmi. Non bisogna sconvolgere le paludi: bisogna vivere sui monti.
Ora con ebbre narici io respiro un’altra volta la pura aria dei monti! Liberato è finalmente il mio naso dall’odore degli esseri umani!
Solleticata dall’aria frizzante, come da un vino che spumeggia, la mia anima sternuta — sternuta e augura a sè stessa: felicità!».
Così parlò Zarathustra.
Delle tre cose malvage.
I.
«In sogno, nell’ultimo sogno dell’alba, oggi io mi stava sur un promontorio — fuori del mondo — e teneva in mano una bilancia, con cui pesava il mondo.
Oh, perchè giunse così presto l’aurora a destarmi col suo calore, la gelosa? Sempre essa è gelosa dei miei ardori per i sogni mattutini.