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il ritorno | 175 |
Chi ha orecchie per udire, le adoperi».
Così parlò Zarathustra nella città che egli amava, la quale ha nome la «Vacca variopinta».
E ancora doveva far un cammino di due giorni per giungere alla sua caverna e ai suoi animali, ma già la sua anima era senza fine lieta poi ch’era vicino il ritorno.
Il ritorno.
«Oh solitudine! Oh solitudine della mia dimora! Troppo a lungo vissi quale selvaggio in paese selvaggio, e ne ritorno a te in lagrime!
Accennami pure minacciosa col dito, come sogliono fare le madri; sorridimi, come le madri sanno sorridere; dimmi pure: «E chi era colui, che un giorno come un uragano fuggì lontano da me? — e che involandosi esclamò: troppo a lungo io indugiai nella solitudine, e perciò disimparai a tacere? Ciò — l’hai tu ora appreso?
«O Zarathustra, io so tutto: so che nella moltitudine tu fosti più solo che non quand’eri a me vicino! L’abbandono è altra cosa. L’hai appreso, ora? E anche hai imparato che tra gli uomini tu sarai sempre un selvaggio, e uno straniero?
— «Selvaggio e straniero quando pure ti amassero: giacchè, anzitutto, essi vogliono indulgenza per sè stessi!
«Ma qui tu sei nella tua dimora, in casa tua: qui tu puoi dire tutto quello che pensi — tutte le tue ragioni; nulla è qui che si vergogni degli affetti intimi e forti.
«Qui tutte le cose vengono lusingatrici incontro al tuo parlare e ti tentano: giacchè esse vogliono cavalcare sulla tua groppa. Con ogni parabola tu cavalchi verso una verità.
«Diritto e franco tu puoi qui parlare a tutte le cose: e da vero è per i loro orecchi una lode questa: che qualcuno possa parlare francamente con tutte le cose!
«Ma altra cosa è l’abbandono. Ancor ricordi, Zarathustra, l’ora in cui l’uccello gridò sopra il tuo capo? quando ti trovai