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170 | così parlò zarathustra — parte terza |
— Su la città degli intrusi, degli sfacciati, degli scribi e degli strilloni, degli ambiziosi accecati: — dove tutto ciò ch’è corrotto, putrido, libidinoso, polveroso, vizzo, ulcerato, brulica insieme in una sola fogna;
— Sputa su la grande città e ritorna sui tuoi passi!».
Ma in questo punto Zarathustra interruppe il pazzo furioso e gli chiuse la bocca.
«Ma finisci dunque — esclamò — da lungo tempo mi fan stomaco il tuo discorso e il tuo contegno!
Perchè dimorasti così a lungo nella palude, sì da diventare tu stesso un ranocchio od un rospo?
Non scorre forse anche nelle tue vene un sangue fangoso, putrido e bavoso, che ti fa gracidare e bestemmiare in tal modo?
Perchè non ti rifugiasti nel bosco? O non arasti la terra? Non è forse il mare ripieno di verdi isolette?
Io disprezzo il tuo disprezzare: e se tu ammonisci me, perchè prima non ammonisci te stesso?
Dall’amore soltanto deve uscire il mio disprezzo, l’uccello augurale: non già dal padule!
Ti chiamano la mia scimmia, o pazzo furibondo: ma io ti chiamo il mio maiale grugnente: col tuo grugnire tu mi guasti l’elogio della pazzia.
Che cosa ti fece prima grugnire? Il conoscere che nessuno ti adulava come speravi: — presso alle lordure sedesti per aver un pretesto a grugnire.
— Un pretesto ad una lunga vendetta! Giacchè vendetta, o pazzo vanitoso, è la tua bava: io t’ho letto nell’anima!
Ma il tuo folle discorso mi dà noia anche quando hai ragione! E quand’anco la parola di Zarathustra avesse le mille volte ragione, tu con la mia parola commetteresti sempre un torto!».
Così parlò Zarathustra; poi considerò la grande città, sospirò e tacque a lungo. Infine così disse:
«Anch’essa, questa grande città, e non solo questo pazzo, mi muove a fastidio. Nè l’uno nè l’altro sanno farsi nè migliori nè peggiori.
Guai a questa grande città! — Vorrei poter già vedere la colonna di fuoco che la incendierà!