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168 | così parlò zarathustra — parte terza |
Mi compiangono pure per i miei geloni! «Nel ghiaccio della percezione egli morrà assiderato!» — così essi dicono.
Frattanto io percorro coi miei piedi caldi a dritta e a manca il mio oliveto: nell’angolo soleggiato del mio oliveto io canto e irrido a ogni pietà».
Così cantò Zarathustra.
Di ciò ch’è passeggiero.
In tal guisa, attraversando senza fretta molte città e molti popoli, Zarathustra giunse per la via più lunga al suo monte e alla sua caverna. Ed ecco, senza saperlo, egli arrivò anche alle porte della grande città: ma qui un pazzo con la bava alla bocca gli corse incontro a braccia aperte e gli attraversò il cammino. Era quello stesso cui il popolo dava il nome di «scimmia di Zarathustra»: giacchè egli si era appropriato alcunchè del suo stile e delle inflessioni della sua voce e toglieva volentieri assai cose a prestito dal tesoro della sua sapienza. E il pazzo così parlò a Zarathustra:
«O Zarathustra, questa è la grande città: qui nulla tu hai da cercare e tutto da perdere.
Perchè mai vorresti impacciarti in questo fango? Abbi almeno compassione de’ tuoi piedi! Sputa piuttosto sulle porte della città — e torna indietro!
Qui è l’inferno per i pensieri dei solitari; qui i grandi pensieri si fanno bollir vivi e cuocere a pezzi.
Qui si putrefanno tutti i grandi sentimenti: qui non possono far strepito che i sentimentucci magri ed estenuati!
Non senti l’odore dei macelli e delle rosticcerie dello spirito? Non è forse pregna questa città dei fumi dello spirito macellato?
Non vedi tu le anime pender fiacche come luridi cenci?
E con codesti cenci essi fabbrican gazzette!