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la prefazione 17


«Sul mio onore, amico mio, rispose Zarathustra, nulla è vero di ciò che tu pensi: non v’ha nè diavolo nè inferno. L’anima tua morrà prima ancora del tuo corpo; non temer di nulla!».

L’altro alzò gli occhi diffidenti: «Se tu dici la verità, io nulla perdo, perdendo la vita. Io non valgo più d’una bestia cui s’insegnò a ballare a forza di legnate e di digiuni».

«Tutt’altro, disse Zarathustra: del pericolo tu hai fatto il tuo mestiere, e nulla v’è in ciò di spregevole. Per ciò appunto io voglio sotterrarti con le mie mani».

Quando Zarathustra ebbe finito di pronunciare queste parole, il moribondo non rispose più. Solo agitò la mano, come se cercasse quella di Zarathustra per ringraziarlo.


7.

Era scesa intanto la sera, e il mercato si avvolgeva nell’oscurità. E la folla si disperse, giacchè la stanchezza vince anche la curiosità e lo spavento. Ma Zarathustra sedette presso il morto, immerso nei suoi pensieri: così dimenticava il tempo.

E giunse al fine la notte; e un vento freddo incominciò a soffiare. Allora Zarathustra si alzò e disse nel suo cuore:

«In verità, una bella pesca ho fatto oggi! Non ho pescato nessun uomo, ma — in compenso — un cadavere.

Triste e stolta ancor sempre è l’esistenza umana: un buffone le può riescir fatale.

Io voglio insegnare agli uomini il valore della vita: voglio apprender loro il superuomo, che è fulmine che si sprigiona dalla nera nube chiamata uomo.

Ma io sono ancor troppo lontano da loro, ed il mio senso non parla ai lor sensi. Per gli uomini io sono ancora alcunchè tra il cadavere e il pazzo.

La notte è oscura, e oscure sono le vie di Zarathustra.

Vieni, orsù, freddo e rigido compagno; ti porterò là dove io possa seppellirti con le mie mani».

2.— Nietzsche, Così parlò Zarathustra.