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prima del levar del sole | 157 |
Tu sei venuto a me, circonfuso della tua bellezza; e il tuo silenzio mi ha parlato rivelandomi la tua saggezza.
Come non saprei indovinare tutto il pudore dell’anima tua? Prima del sole tu giungesti a me, solitario.
Noi siamo amici da eterno tempo: comuni sono a noi le cure e l’orrore; noi abbiamo comune anche il sole.
Noi non parliamo fra di noi, perchè troppe cose sappiamo: — noi ci guardiamo silenziosi comunicandoci con un sorriso la nostra sapienza.
Non sei forse tu luce del mio fuoco? Non hai tu forse un’anima sorella per la mia intima conoscenza?
Insieme noi apprendemmo ogni cosa: insieme noi imparammo ad ascendere oltre noi e verso noi stessi, e a ridere serenamente.
A ridere senza nubi, con occhi sereni e da distanze remotissime, mentre sotto di noi la costrizione, l’intento, la colpa fumano come fitte nebbie.
E quando errai solitario, di che cosa, se non di te, aveva fame l’anima mia nelle notti oscure e nel labirinto dei sentieri? E quando m’arrampicai su pei monti, chi se non te vi cercai?
E tutto il mio errare null’altro era che una necessità e un espediente dell’impotenza: — volare è l’unica cosa cui aspira la mia volontà, volare in te!
E qual cosa fu da me odiata più delle nubi erranti e di tutto ciò che ti offuscava? E odiai il mio odio ancor esso, perchè ti macchiava! Ho in fastidio le nubi erranti, questi furtivi gatti di rapina: essi rubano a te ed a me quello che ci è comune, — l’immenso, l’infinito dire Sì ed Amen.
Noi aborriamo queste mezzane e queste intruse, queste ambigue creature che non sanno nè benedire, nè cordialmente maledire.
Meglio, assai meglio rinchiudersi in una botte, o vivere in un abisso, che veder te, cielo di luce, macchiato dalle nubi erranti.
E sovente provai il desiderio d’inchiodarle coi fili d’oro frastagliati del fulmine, per poter suonare il timpano su quel loro ventre gonfio, con uno scoppio di tuono.
Come un suonatore di timpano irato, perchè esse rubano a me il tuo Sì ed il tuo Amen — o cielo su la mia testa, o puro,