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156 | così parlò zarathustra — parte terza |
Oh pomeriggio della mia vita! Oh felicità che precede la sera! Oh porto in alto mare! Oh pace dell’incertezza! Quanto diffido di tutti voi!
In vero, io diffido della vostra insidiosa bellezza! Io somiglio all’amante che diffida dei sorrisi troppo carezzevoli.
Come egli respinge da sè la dilettissima, tenero anche nella sua durezza, il geloso; così io respingo da me quest’ora beata.
Lontano da me, ora beata! Con te mi venne una felicità, non voluta!
Io sono qui preparato al più profondo dolore: — tu giungesti fuor di tempo!
Lontano da me, ora beata! Piuttosto scegli la tua dimora laggiù tra’ miei figli! Affrettati, e benedici ancora prima di sera con la mia felicità!
Già la sera s’avvicina; il sole tramonta. Addio — mia fefelicità!».
Così parlò Zarathustra.
Ed egli vigilò tutta la notte in attesa della sua sventura; ma attese invano. La notte rimase serena e silenziosa, e la felicità, essa stessa, gli si andò avvicinando sempre più. Ma in sul mattino Zarathustra rise nel suo cuore e disse beffardamente: « La felicità corre dietro a me. Gli è perchè io non corro dietro alle donne. Poichè la felicità è sempre donna».
Prima del levar del sole.
«Oh cielo, su la mia testa! Oh tu puro, profondo abisso di luce! Nel contemplarti fremo di desideri divini.
Slanciarmi nelle tue altezze — ecco la mia profondità! Celarmi nella tua purezza — ecco la mia innocenza!
Un Dio si vela della propria bellezza: così di te si fan velo le tue stelle. Tu non parli: così tu mi dimostri la tua saggezza.
Muto, incurvato sul mare in tumulto, tu mi apparisti oggi; il tuo amore e il tuo pudore sono una rivelazione per la mia anima tumultuante.