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148 | così parlò zarathustra — parte terza |
Tu ti provasti ad accarezzare tutti i mostri. Un soffio di respiro caldo, un po’ di pelo soffice e del velluto intorno alla zampa: — ed eccoti tosto pronto ad amare e ad accarezzare.
L’amore è il pericolo di chi è solo; l’amore per che che sia, purchè sia cosa vivente! È degna proprio di riso la mia follìa e la mia modestia nell’amare!».
Così parlò Zarathustra, ridendo una seconda volta: ma allora si sovvenne degli amici che aveva lasciati, e come se in ispirito li avesse offesi s’adirò con sè stesso de’ suoi pensieri.
Ed in breve avvenne che il suo riso si mutò in pianto: — e di collera e di desiderio Zarathustra pianse amaramente.
Della visione e dell’enigma.
Quando tra l’equipaggio della nave si sparse la voce che Zarathustra si trovava a bordo (giacchè insieme con lui s’era imbarcato un altro uomo, che veniva dalle Isole beate), ne nacque grande curiosità e grande aspettazione.
Ma Zarathustra tacque per due giorni, fatto gelido e sordo dalla tristezza, sì che non rispondeva nè agli sguardi, nè alle domande.
Ora, la sera del secondo giorno, i suoi occhi si riapersero, sebbene ei si rimaneva taciturno: giacchè molte cose strane e pericolose potevansi udire su quella nave, che giungeva da lontano e si recava più lontano ancora.
Ma Zarathustra era amico di tutti coloro che amano i lunghi viaggi e i pericoli.
Ed ecco: mentre stava ad ascoltare, la sua lingua si snodò, e il ghiaccio del suo cuore si sciolse; — e allora prese a parlare così:
«A voi, intrepidi cercatori, a voi tentatori, e a tutti coloro che s’imbarcano per terribili mari con vele sagaci;
— A voi, ebbri di misteri, amatori del crepuscolo, la cui anima come dal suono d’un flauto si sente attratta verso ingannevoli abissi; (giacchè voi sdegnate seguire con vil mano