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132 | così parlò zarathustra - parte seconda |
Ma Zarathustra così rispose a colui che gli aveva rivolta la parola:
«Chi toglie la gobba al gobbo lo priva con ciò del suo spirito: così il popolo c’insegna. E se si rende la vista al cieco egli sarà costretto a vedere molte brutte cose: sì che dovrà imprecare a colui che lo ha guarito. Infine, quegli che ridà l’agilità delle gambe allo sciancato gli rende il peggior dei servigi: giacchè quando avrà appreso a correre i suoi vizi lo trascineranno con loro: ciò insegna il popolo a proposito degli storpi.
E perchè Zarathustra non dovrebbe imparare dal popolo ciò che il popolo impara da Zarathustra?
Ma dacchè mi trovo tra uomini, mi sembra naturale che a taluno manchi un occhio, a un altro un orecchio, ad un terzo la gamba, e che altri siano privi della lingua, del naso e anche della testa.
Cose peggiori ho vedute: cose orribili tanto, che non vorrei parlare di tutte, e pur non ne so tacere interamente: uomini, cioè, cui tutto fa difetto, mentre possiedono una sola cosa in più — uomini che non sono null’altro che un grande occhio, o una grande bocca, o un grande ventre: — io li chiamo storpi a rovescio.
E quando io uscii dalla mia solitudine e per la prima volta varcai questo ponte, io non prestai fede ai miei occhi, e guardando, guardando con insistenza dissi alfine a me stesso: «ma codesta è un’orecchia! un’orecchia grande quanto un uomo!». Guardai con attenzione ancor maggiore: e in verità sotto l’orecchia s’agitava una cosa tanto piccola e misera e debole da far pietà. E in verità l’orecchia enorme era posta sovra un tenue e piccolo stelo, — ma lo stelo era un uomo! E chi si fosse messo gli occhiali avrebbe anche potuto discernere un grazioso visino; anche un’animetta flaccida pendente dallo stelo. Se non che il popolo mi disse che la grande orecchia non soltanto era un uomo, ma anche un grand’uomo, un uomo di mirabile ingegno. Ma io non credetti mai al popolo quand’esso mi parlò di uomini grandi — e rimasi fermo nella mia credenza che quegli fosse uno storpio a rovescio, che di tutto avea troppo poco, e d’una sola cosa troppo».