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14 | così parlò zarathustra - parte prima |
strepito come i suonatori di timpani e i predicatori della penitenza? O forse non prestano fede che a chi balbetta?
Essi possedono qualche cosa, di cui vanno superbi; come chiamano mai codesta cosa? La chiamano educazione; la quale li distingue dai pastori di capre.
Perciò odono malvolontieri la parola «disprezzo» usata contro di loro. Parlerò dunque alla loro superbia.
Dirò loro di ciò che più è spregevole: cioè dell’ultimo uomo.
E Zarathustra, allora, disse al popolo così:
«È giunto il tempo che l’uomo si proponga una meta. È giunto il tempo che l’uomo getti il seme della sua più alta speranza.
Il suo terreno è abbastanza ricco, oggi, per ciò. Ma un giorno sarà impoverito e sfruttato e non potrà dar vita a nessun albero di alto fusto.
Guai! Si appressa il tempo in cui l’uomo non lancerà più la freccia della sua brama oltre l’uomo, e la corda del suo arco avrà disappreso a sibilare!
Io vi dico: bisogna aver ancora un caos in sè per poter generare una stella danzante. Io vi dico: voi avete ancora del caos in voi.
Ahimè! Prossimo è il tempo in cui l’uomo non potrà più generare nessuna stella! Ahimè! Prossimo è il tempo del più spregevole tra gli uomini, che non saprà nè anche più disprezzare sè stesso.
Ecco! Io vi mostro l’ultimo uomo.
Che cosa è amore? Che cosa è creazione? Che cosa è brama? Che cosa è l’astro? — così chiede l’ultimo uomo, ammiccando.
La terra sarà allora divenuta piccina, e su di essa saltellerà l’ultimo uomo che impicciolisce ogni cosa. La sua razza è tenace, come quella della pulce; l’ultimo uomo vive più a lungo di tutti.
Noi abbiamo inventata la felicità — dicono, ammiccando, gli ultimi uomini.
Essi hanno abbandonate le regioni dov’era dura la vita: giacchè han bisogno di calore. Si ama ancora il vicino e ci si stropiccia a lui, perchè si ha bisogno di calore.