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di grandi fole 127


«Tu mostri dispetto, o cane infernale, dunque le mie ragioni soverchiano le tue!

E perchè la ragione resti a me, senti quello che ti dirò intorno a un altro cane infernale che parla proprio dal cuor della terra.

Il suo respiro è oro ed aurea pioggia; così vuole il suo cuore. Che importano a lui la cenere e il fumo e il fango ardente!

Il riso aleggia intorno a lui, come un’aureola variopinta: egli è avverso alle tue voci roche, al tuo vomito ed alle contrazioni delle tue viscere!

Ma l’oro e il riso egli lo toglie dal cuor della terra, giacchè tu devi sapere che il cuore della terra è d’oro».

Quando il cane infernale ebbe udito ciò, non volle oltre ascoltare; si mise la coda tra le gambe; guaì un timido bau bau; e fuggì nella sua tana».

Così narrò Zarathustra. Ma i suoi discepoli a fatica gli davano ascolto: tanto erano impazienti di parlargli dei marinai, dei conigli e dell’uomo volante.

«Non so che cosa pensarne», disse Zarathustra. «Sono io forse uno spettro?

Ma sarà stata la mia ombra. Voi avete udito di certo parlare del viaggiatore e della sua ombra?

Ma questo è sicuro: ch’io devo tenerla più in freno, altrimenti essa mi farà perdere il mio buon nome».

E di nuovo Zarathustra scosse il capo, stupito.

«Non so proprio che cosa pensarne!» ripetè.

«Perchè aveva gridato quel fantasma: È l’ora! Non c’è tempo da perdere?

Di che cosa è giunta l’ora? per che cosa non c’è da perder tempo?».

Così parlò Zarathustra.