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122 | così parlò zarathustra - parte seconda |
Ma posto che qualcuno avesse detto con tutta serietà che i poeti sono menzogneri; ebbene, egli avrebbe avuto ragione: noi mentiamo troppo.
Poco anche è ciò che sappiamo: noi siamo cattivi discepoli: ecco perchè siamo costretti a mentire.
E chi di noi poeti non falsificò il proprio vino? Più d’una miscela venefica fu composta nelle nostre cantine, e molte cose vi seguirono di cui è bene tacere.
E appunto perchè poco sappiamo, amiamo i poveri di spirito: sopra tutto quando son giovani donne.
Noi siamo avidi pur delle cose che le vecchie donnicciuole vanno favoleggiando la sera. Chiamiamo ciò l’eterno feminino.
E come se esistesse una via segreta che conduca alla scienza, preclusa a coloro che imparano qualche cosa, noi abbiamo fede nel popolo e nella sua «saggezza».
Anche credono i poeti che colui il quale, messosi a giacere sull’erba o sui pendii solitari, intende l’orecchio, possa apprendere le cose come stanno fra il cielo e la terra.
E ad ogni nuova sensazione di tenerezza essi credono che la natura stessa, innamorata di loro, s’accosti segretamente al lor orecchio per narrar cose misteriose e ripetere frasi lusingatrici d’amore: di che si vantano e si esaltano dinanzi agli altri mortali!
Ah ci sono tante cose fra cielo e terra che i poeti soltanto seppero sognare!
E particolarmente oltre il cielo: giacchè tutti gli dèi non sono altro che imagini e fole di poeti!
In verità, noi sempre ci sentiamo attratti verso l’alto — cioè verso il regno delle nubi: a queste noi affidiamo le variopinte creature della nostra fantasia, e le chiamiamo i nostri dèi e i nostri superuomini.
Sono tanto leggère, che quelle sedi soltanto si convengono a loro. Oh come sono stanco di tutto l’incomprensibile che si vuole spacciar per vero! Come sono stanco dei poeti!».
Quando Zarathustra ebbe finito di parlare, il suo discepolo stette, dispettoso, in silenzio.