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la ballata 103


Ma tu mi traesti all’aperto con un amo clorato; e ridesti beffarda quando ti chiamai impenetrabile.

«È un modo di parlare, questo, che conviene ai pesci non agli uomini — mi dicesti; ciò di cui non possono toccare il fondo è per essi l’impenetrabile.

Ma mutevole io sono, e selvaggia, e in ogni cosa femmina e non femmina virtuosa: per quanto da voi uomini io sia chiamata la «profonda», la «fedele», l’«eterna», la «misteriosa».

Ma voi, uomini, ci fate dono delle vostre proprie virtù, — o virtuosi!».

Così disse ridendo, quell’infida; ma io non credo mai a lei né al suo riso, quando parla male di sè stessa.

E poi che da solo a sola ebbi parlato con la mia selvaggia saggezza, essa mi disse adirata: «Tu vuoi, tu desideri, tu ami: perciò soltanto tu esalti la vita!».

Per poco mi sentii tentato a dirle, dispettosamente, la verità, giacché nessuna malignità vince quella di dire «il vero» alla propria saggezza.

Così sta la cosa fra noi tre. In fondo io non amo, a dir vero, che la vita — e tanto più, quanto maggiormente la odio!

Se tuttavia anche amo la saggezza, e forse anche-troppo, ciò avviene perché essa mi ricorda troppo la vita!

Ne ha l’occhio, il riso e persin l’amo dorato: che colpa ci ho io se l’una tanto s’assomiglia all’altra?

E quando la vita mi chiese: Chi è mai costei, la saggezza? — io le risposi in fretta: Ah sì! la saggezza!

Si è assetati di lei, e non se ne diviene mai sazi; la si guarda a traverso un velame, e si cerca d’afferrarla con le reti.

Se è bella? E che ne so io! Pure, i più vecchi carpi si lasciano adescare da lei!

Essa è mutabile e caparbia: più volte vidi mordersi il labbro e arruffarsi col pettine i capelli.

Forse è malvagia, e perfida, e donna: ma quando parla male di sé stessa a punto allora più mi seduce.

Quando la Vita ebbe inteso ciò, rise maliziosamente e socchiuse gli occhi. «Di chi parlavi?» — mi disse — «Di me, non è vero?