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il canto notturno | 101 |
Tale è la vendetta che desidera la mia pienezza: tale è la perfidia che scaturisce dalla mia solitudine.
La mia felicità di donare vanì coi doni; la mia virtù divenne stanca di sé stessa per la propria abbondanza!
Chi dona sempre, corre pericolo di perdere il suo pudore; chi distribuisce sempre, ha la mano ed il cuore callosi per il troppo distribuire.
Il mio occhio non ha più lagrime per il pudore dei supplicanti; la mia mano s’è troppo indurita e più non sente il tremito delle mani ricolme.
Donde venne al mio occhio la lagrima, e il callo al mio cuore?
O solitudine di coloro che donano! O silenzio di coloro che risplendono!
Molti soli rotano negli spazi deserti: a tutto ciò che è oscuro essi parlano con la loro luce — ma con me tacciono.
La luce è nemica a tutto ciò che risplende: senza pietà essa continua il suo cammino.
Ingiusto nel profondo del cuore contro tutto ciò che risplende, freddo verso i soli; così ogni sole segue il proprio cammino.
Rapido come l’uragano il sole divora la sua corsa: tale è la sua sorte. Esso segue la sua volontà inesorabile, che è la sua freddezza. Voi soltanto, voi oscuri, notturni, create calore dalla luce!
Voi soltanto succhiate latte e ristoro dalle mammelle della luce!
Ahimè, il ghiaccio mi circonda: la mia mano brucia nel toccare il ghiaccio! — Ah, io provo sete della vostra sete!
È la notte; ahimè, perché devo esser luce?! e assetato di ciò che è notturno? e in solitudine?
È la notte: e il desiderio prorompe ora dal mio intimo come uno zampillo — il desiderio di parlare.
È la notte: ora parlano alto i fonti zampillanti. E anche l’anima mia è un tal fonte.
È la notte: or si ridestino le canzoni degli innamorati. E anche l’anima mia è una sì fatta canzone».
Così parlò Zarathustra.