Pagina:Corradini - Sopra le vie del nuovo impero, 1912.djvu/88

66 l'imponderabile della reggenza

fu allora l’imperatore Napoleone III il quale in una lettera che precedeva il senatus-consulto, scriveva:

«Bisogna convincere gli arabi che noi non siamo sbarcati in Algeria per opprimerli e spogliarli, ma per apportar loro i benefizii della civiltà. Cerchiamo in tutti i modi di conciliarci quella razza intelligente, fiera, guerriera e agricola. L’Affrica è molto vasta, e tutti potremo trovarci posto e esercitarvi la propria attività, ciascuno secondo la sua natura, i suoi costumi ed i suoi bisogni. Agli indigeni l’allevamento dei cavalli e del bestiame, le culture naturali del suolo. All’attività e all’intelligenza degli europei le foreste e le miniere, i prosciugamenti, le irrigazioni, l’introduzione delle culture perfezionate, la importazione di quelle industrie che precedono e accompagnano tutti i progressi dell’agricoltura. Io lo ripeto, l’Algeria non è una colonia propriamente detta, ma un regno arabo. Gli indigeni hanno come i coloni diritto alla mia protezione, ed io sono l’imperatore degli arabi come sono l’imperatore dei francesi».

L’imperatore instaurava così l’umanitarismo coloniale, e nella sua persona sacra incarnava la politica d’associazione franco-araba, il che non può fare la repubblica impersonale.

Ma questo è avvenuto in Algeria: gli indigeni che all’arrivo dei francesi erano meno di 2 milioni, sono oggi più di 4 milioni e mezzo, e i francesi, di vera origine francese, in 82 anni non hanno raggiunto i 300 mila. Hanno essi anche laggiù i loro siciliani, e