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meditazione sull'acropoli 211

apparteniamo a un popolo che in questo momento guerreggia, enumeriamo anche le nostre battaglie, ma poco ci vuole perchè ripetiamo ancora Salamina e Maratona, per l’amore che Atene ebbe a quanto essa fece e a quanto fu suo. Tale fu quest’amore che seppe diventare, per tutto il genere umano, pari in eternità a una forza operante della natura. Non il fatto, ma questa forza eterna d’amore che sublima e santifica il fatto, adombrata dall’arte, fu la prerogativa di tutti i greci, sia che abitassero all’ombra del Citerone, o dell’Elicona, o del Parnaso, sia che bevessero le acque dell’Alfeo, o dell’Inaco, o dell’Eurota, di tutti i greci d’Asia, d’Europa e delle isole, ma primi gli ateniesi. Certo costoro ebbero il genio con cui s’adornarono e splendettero come faro, ma il genio del loro genio, la fiamma intima della loro luce, il principio motore del loro adornarsi sino a trasfigurarsi, fu l’amore di sè, l’incommensurabile amore ateniese per tutta quanta era Atene. E sarebbero stati i più cerretani degli uomini senza quest’amore che fece una sostanza sola del fatto e del desiderio del fatto. Atene fu attiva nel panegirico d’Atene quanto Roma nella conquista, e come da questa sorse l’impero, così da quello sorse l’arte. Questa fu ateniese come l’impero fu romano. Eschilo parla ancora.