Pagina:Corradini - Sopra le vie del nuovo impero, 1912.djvu/181


patmos. stampalia 159

qua, e la nave officina Vulcano. E filavano barche cariche di marinai, altri bianchi marinai si vedevano arrampicarsi sulle pendici delle alture nude. E sulle stesse pendici si vedevano antenne radiotelegrafiche, bandiere agitate al forte vento, batterie di marina, proiettori, stazioni di vedetta. Demmo fondo dinanzi alla piccola baia di Skala, sotto al castello dei Querini che ora è tutto pieno di catapecchie, come, a male agguagliare, il palazzo di Diocleziano a Spalato.

Mettiamo il piede a terra sulla riva di Skala, un embrione di paesello, di mercato e di porto, che ebbe il suo primo sviluppo dallo sbarco degli italiani i quali richiamarono giù dal loro nido gli stampalioti a inalzare osterie di tavole e di frasche e a vendere frutta e pomodori. Saliamo. La balza è rocciosa, coperta di cespuglietti spinosi che gli indigeni chiamano «astiví». Dall’alto del castello l’isola è nudamente ciò che deve essere, mostra la magnificenza delle sue baie. L’isola di Stampalia, base navale dell’Italia nel Mediterraneo orientale, è fatta di due isole, una meravigliosamente simile a una grande ala di pietra, ad oriente, ed una ad un grande cuore, ad occidente. Le due isole, distanti l’una dall’altra e parallele, sono congiunte insieme per il mezzo