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patmos. stampalia 157

raccogliendoli ora dinanzi alla memoria, sono uniformi e varii nello stesso tempo. Ricordo Rodi, e Kos rassomiglia a Rodi, ma è più in ispiaggia e meno in costa, più sottile, lungo e leggiero; e Kalimno è un ferro di cavallo, stretto, e Leros è tutto partito tra la gola di due monti e la spiaggia, e Lipso rassomiglia a Kalimno, ma non è così stretto e intimo, e Patmos è sul cocuzzolo e in anfiteatro, molto aperto e grandioso. E le isole di Patmos, di Leros, di Lipso, di Kalimno, come di Rodi e di Kos, come di Nisiro e di Simi, come tutte le Sporadi e le Cicladi, hanno ciascuna la sua città bianca che non è senza grazia su la nuda roccia, o tra ’l verde, ma è questa sola, piccola come un villaggio, prodotta e alimentata da tutta l’isola, come una sola perla dalla sua conchiglia. Le piccole città, ciascuna nella sua isola, vivono oggi come mille, duemila, quattro mila anni fa, e non è senza poesia il non poter precisare; vivono separate le une dalle altre, dentro uno spazio di mare di pochi chilometri, come se fossero separate da grandi oceani. E vivono, queste Sporadi e queste Cicladi, tra la Grecia e l’Asia, in uno stato di civiltà tutto speciale che si potrebbe chiamare egeatico, e che era della Grecia, ed è ancora dell’Asia, sotto il dominio della morte, il turco. Sino a po-