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kos e kalimno 141

sono mulini di terra. È Rodi, ma più leggiera, più distesa lungo il mare. Come Rodi anche Kos è tutta casette bianche e alberi; al disopra, le falde e i fianchi de’ monti sono a campicelli verdi. Così è ora l’isola che prima, quando le navigavamo contro, ci presentava il nudo dorso, senza un’abitazione umana, nè un fusto.

Gettammo l’áncora. Dieci o dodici soldati che stavano a bordo diretti a Lipso, mandarono alte grida, quando videro la riva tutta formicolante di loro compagni. Scendemmo.

Kos ha una guarnigione di ottocento soldati italiani comandata dal colonnello Maffi. La piccola città è tutta animata di soldati e d’ufficiali lungo il mare e sotto le pergole di frasche secche. È inesprimibile il sentimento che suscita questo miscuglio che gli eventi inaspettatamente produssero, di gioventù italiana e degli abitanti di quest’isola di cui era dimenticato il nome, sotto i tre rami immani, sostenuti da tre pilastri, del platano d’Ippocrate, Matusalem delle piante, a cui si danno più di venti secoli d’esistenza. Nel castello dei cavalieri, più piccolo di quello di Rodi, ma altrettanto massiccio, e che ora è caserma italiana, ed era prima caserma turca, vidi i soldati italiani che giocavano alle buchette, come si usa in Toscana, con le palle di ferro delle artiglierie del cinquecento.