Pagina:Corradini - Sopra le vie del nuovo impero, 1912.djvu/151


in pellegrinaggio a psuthos 129

Alla mia destra l’ultimo sperone dell’altipiano, dinanzi al Capo Vaghia che distingue la piana d’Aphandos da quella limitata dai monti Zambika, levava le sue rocce nel sole nette, taglienti, corruscanti.

E quando ebbi ripreso il cammino e fui disceso un poco dal punto di quel panorama, vidi un fluttuare d’alture d’ogni lato, con profondi burroni, sino a perdita d’occhio. La piccola isola mi appariva di grande stile. Erano alture ora petrose, ora verdi, ora rocce addirittura, tutte spezzate da gole, precipitanti in burroni profondi come baratri. Era il gran nodo montagnoso, aggrovigliatissimo, che forma tutto l’interno dell’isola e quasi tutta l’isola. Era la pietrificazione e la solidificazione d’una catastrofe tellurica. Ma per quella strada senza sentiero, di notte, tendeva a Psithos la colonna Ameglio, mentre nella stessa notte, per strade uguali, tendevano allo stesso convegno anche le altre due colonne, da Kalavarda i bersaglieri e gli alpini da Malona. Vidi su quelle rocce, in quella notte, su quella isola di povera gente primitiva e decaduta, lo sforzo eroico della volontà italiana per tutte e tre le colonne che un uomo conduceva.

Poi da quelle vette ridiscendemmo in un altipiano sassoso e attraversammo un rio pieno d’oleandri e risalimmo e ridiscen-