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100 rodi dei turchi e de’ cavalieri

tirandosi dietro il mulo carico di vettovaglie, ma abitano ancora dove per quattro secoli prolificarono, tra i gigli di Francia, la croce dell’ordine e l’aquila d’Italia, i discendenti di Solimano. Pure, qualcosa me li fece perdonare qui il primo giorno dello sbarco, le loro donne, un atto delle loro donne rispondente al carattere de’ luoghi come l’eco alla voce. Salivo, m’inoltravo pel laberinto. Assuefatto alle antiche città italiane, a riconoscere presto ed a sentire le città sante dell’anima, mi ero accorto che una era quella dov’ero giunto, nella piccola isola mediterranea. Al godimento era pari la meraviglia. Tutto era vuoto. Mi pareva di essere in una seconda Pompei rimasta in piedi. Tutte le porte e le finestre chiuse. Attraverso a qualche porta sconnessa s’intravedeva un giardino fiorente, ma vuoto. Non si sentiva un piede umano strisciare. Quand’ecco in fondo a una fuga d’archi schiacciati, lunga e stretta come una calle veneziana, apparvero due o tre donne e sparirono alla vista dell’infedele. Si dileguarono come ombre che si ritirano. Allora cominciai a cercare e quasi a promuovere quella sparizione di donne, quel dileguarsi d’ombre in mezzo alle ombre di tanti secoli. Uscivano dalle case e rientravano chiudendo. Oppure, colte in mezzo al cammino