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doti curiosi che gli raccontava e delle passeggiate che sapeva organizzare per divertirlo quando rimaneva contento dei suoi cómpiti.

Però la sua idea fissa erano i fatti eroici, i lunghi viaggi, la vita avventurosa, e diceva sempre:

— Io studio per non vedervi imbronciati, ma se capita l’occasione, scappo e mi faccio soldato, marinaro o esploratore.

Quando don Vincenzo parlava del quarant’otto, Carlo pregava Damiati di sospendere la lezione e s’avvicinava con tanto d’orecchi alla tavola, dove le ragazze lavoravano, e il prete ricominciava per la centesima volta i suoi racconti, ma sempre animandosi, gesticolando in modo che pareva avessero la virtù di levargli una ventina d’anni dalle spalle.

«Ora si muore, si vegeta, — egli diceva, — quelli erano tempi in cui si viveva, ogni giorno c’era qualche novità, qualche avvenimento che ci faceva battere il cuore, e s’era tutti uniti in un solo pensiero come se attraverso tutte le nostre teste passasse una medesima corrente elettrica.

«Io, in quel tempo, ero a Milano al seminario a studiare, ma anche là dentro, fra quelle quattro mura, in mezzo ai nostri studi, penetravano le idee che correvano per la città, si sapeva tutto quello che accadeva, eppure non vi saprei dire