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(XXIII.)


L’Arte d’amar del Sulmonese, e il Riccio
Rapito d’Anglia, e la Pulcella d’Orleans,
E i dialoghi eleganti di Sigèa,
E il Gallico Portier della Certosa;
470Nè su i lor letti voglion altri influssi,
Che delle Grazie i giochi, i fali, i fiori,
E d’Imeneo la viva e amica Face,
E di Venere e Amore i dardi e il foco.
Ma tempo è omai, bella divina Urania,
475Che sul tuo Cocchio di carbonchj adorno
M’innalzi Tu a veder gl’Astri, e i Pianeti,
Sì ch’io distingua li costumi, e il volto
Di questi del Ciel Magi e Incantatori,
E i lor prodigj, e le influenze ignote.
480Sebben, che giova di stancar le tue
Aquile a volo per le vie dell’Etra?
Senza che Tu col tuo beato peplo
Mi copra, e salvi dall’ardor de gli Astri;
Senza che Tu queste mie labbra asperga
485D’ambrosia sacra, sicchè l’aer celeste
Non mi soffòghi, e il respirar mi vieti;
Tu, Dea, Tu puoi con l’immortal tua voce
Palesarmi de gli Astri ancor quì in terra
L’essenza, e il balenar de i lor bei raggi.


O,